sabato 2 novembre 2013

A tre anni dalla grande alluvione: strani parallelismi tra l'incuria di sé e l'incuria del territorio

Mi piace fare dei salti indietro nel tempo.

Rivedermi, negli anniversari, e pensare dov'ero, che stavo facendo, cosa indossavo, a che cosa pensavo.

E così mi sovviene che tre anni fa, in questo momento esatto, ero seduto alla scrivania dell'assessore Adriano Cappuzzo. Sotto le dita lo stesso computer, gli stessi tasti che sto pestando adesso.

Di fronte a me Fabiana Pesci - anche lei del Mattino. Di fianco a lei Giovanni Viafora - del Corriere del Veneto.

Tutti impegnati a condensare, ospitati in quel micro-ufficio, chi in più chi in meno righe, l'immane dramma di cui eravamo stati testimoni privilegiati. L'alluvione del 2 novembre 2010: l'argine squarciato dalla pressione del Bacchiglione, durante la notte, all'altezza della discarica. Milioni di tonnellate d'acqua che si riversavano per la campagna. L'acqua che saliva, pian, piano, contro la gravità, fino a lambire il Municipio. Poi, nel pomeriggio, l'acqua che trovava come farsi strada verso sud, inghiottendo prima Casalserugo e poi Bovolenta. Le case divorate dall'acqua e dal fango. E poi, dalla miseria più nera.

Mattina del 2 novembre 2010. Sul forum che frequento mi hanno irriso per settimane solo
per quel mio essere comparso su un telegiornale nazionale. In realtà ero nell'angoscia più nera. 


Ricordo gli anziani in carrozzina in attesa nel salone del municipio, i volontari che prendevano ferie per star vicino agli alluvionati, la giovane coppia, con lei incinta, venuta ad occupare il suo nido d'amore solo il giorno prima che il fango lo rovinasse irrimediabilmente.

Non scendo nei particolari, anche perché i particolari, anno dopo anno, in occasione degli anniversari, sono stati sviscerati e riportati su carta, sul web, sulle immagini delle Tv, prima che l'oblio riducesse pian piano i loro spazi fino quasi a scomparire, in attesa che tragedie come queste abbiano a ripetersi. Prima o poi.

Le scarpe impiastrate di fango, il corpaccione da 140 kg (più di 40 chili in più di adesso) affaticato e stremato, il giaccone sgualcito inumidito per il sudore da dentro e per la pioggia da fuori.

Scrivevo per il Mattino da ventitré giorni. Troppo poco per capire come affrontare un disastro che anche colleghi ben più anziani avevano timore di approcciare. Ma nel cuore, un pensiero: "Se avesse rotto un poco prima, o addirittura a Roncaglia, dietro casa mia, avremmo avuto decine di morti". E il panico.

Impossibile descrivere come ci si sente di fronte al trionfo schiacciante delle forze della natura
sopra il dominio umano. Una ribellione che non si può schiacciare.

Abbiamo smesso di considerare la natura, il cambio delle stagioni. Abbiamo iniziato ad annullare l'estate coi condizionatori e l'inverno coi termosifoni, ignorando la possibilità, che ne so, di indossare un maglione invece di alzare il termostato. Abbiamo smesso di guardare ai fiumi e ci siamo concentrati - come mi ricordava qualche giorno fa il buon Maurizio Padovan del Centro Toniolo - solo sulle strade, sul cemento e sugli impianti produttivi. Sul potere dei "schei".

I pochi che continuano a fregarsene appena un po' della natura sono i vogatori, i cacciatori, i pescatori e qualche altro che si può contare sulle dita di una mano.


La chiesa di Roncajette è stata risparmiata per via di uno strano gioco di pendenze.


Pesavo 140 chili. E non mi pesava. Perché del mio corpo non me ne fregava assolutamente nulla. Non ero io quel corpaccione impacciato, puzzolente e invadente. Non mi radevo, non mi pettinavo. Facevo schifo al mondo e mi facevo schifo io. Semplicemente non ci badavo, e vivevo in un mondo ideale, pulsante di immagini e sogni astratti, sempre più alienato da me. Non che adesso sia un adone, ma in questi anni ho imparato ad entrare in contatto con la mia dimensione più profonda. Ho imparato ad ascoltarmi. Ho capito come controllarmi, e a mangiare fino a che il mio corpo aveva fame, e non fino a quando la mia mente mi chiedeva di sfogarsi col piacere del cibo. Ho capito come curarmi e ho imparato ad andare in giro non come un barbone ma come un piccolo borghese, banale, senza nulla da dire, come tutti.

Il Veneto è uguale. Il Veneto che vedo oggi è lo stesso Andrea del novembre 2010. Si ricorda di essere stato bello. Parla continuamente di radici contadine, di cultura veneta contadina, capace di vivere a stretto contatto con la natura e con i suoi ritmi. Nei suoi sogni il Veneto si vede ancora coi casoni col tetto di paglia, con le vecchiette dai lunghi abiti e dalle cuffie intente a fare il filò, della laguna che si perde a distesa d'occhio, delle montagne purissime ancora non cimitero di milioni di soldati, di città d'arte in cui anche l'ultima delle pietre racconta, cantando in armonia, la sua storia millenaria. E su questi sogni il Veneto investe pure valanghe di soldi, per festival, pubblicità, comunicazione. Per dare un'immagine di sé ormai morta. Il Veneto, segretamente, sa di fare schifo oggi, e vive di ricordi. Perché nei suoi ricordi non solo è bello, è meraviglioso, una terra baciata da Dio in ogni modo con cui Dio può baciare un lembo di terra tra il Po e le Alpi.

Il livello dell'acqua. Senza precedenti. O meglio, con precedenti molto molto remoti.

Ma non è più così. Edificato, cementificato, stuprato ovunque in lungo e in largo, la nostra Regione ha smesso semplicemente di guardarsi allo specchio. Il Veneto non affronta di petto quel suo fare schifo. Quel suo avere un sistema cardiocircolatorio - i suoi fiumi - allo sfascio, dopo decenni di incuria, di vizi, di eccessi. E questo non è che il primo della sua lunga lista di problemi.

Certe opere post-alluvione mi sembrano le cure post-infarto di certi malati che si illudono che una cardioaspirina e qualche piccola operazione possano risolvere tutto. Ma come tutti i post-infartuati, il Veneto deve cambiare regime. Completamente. Deve finalmente tirare la tendina dallo specchio e deve osare guardarsi allo specchio, per accorgersi, finalmente, senza filtri, che fa schifo. Ma, tra le cicatrici degli abusi e le rughe dello sfacelo, il Veneto deve accorgersi di quanto è ancora bello. Di quanto può essere davvero la Regione più bella e più sana del nostro già immensamente bello Bel Paese, se solo smettesse di fumare, di drogarsi e di farsi del male da solo.

Auguri caro Veneto.

Se ce l'ho fatta io, puoi farcela anche tu!

7 commenti:

  1. Preferisco rimanere anonimo ( Max Aka Lampo )... però non posso che darti ragione seppur io viva in un'altra Regione che si crede tanto ricca ma in realtà è l'immagine riflessa del tuo Veneto. Parlo della Lombardia che col Veneto condivide una storia d'amore e odio, fortuna e sfortuna ma soprattutto le promesse di una politica egoista e menefreghista.

    ps: ciao dalmo

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  2. Daniele Matteo Cereda3 novembre 2013 alle ore 09:49

    Come detto sul forum, massima stima. Come dice Max, è vero, qua in lombardia un giorno o l'altro potrebbe capitarci la medesima situazione. L'importante è non far mai tacere la voce. Certe nefandezze politiche che causano queste situazioni per menefreghismo sono l'ennesimo esempio di quanto l'italia sia avvolta nel menefreghismo della politica. Non ci stanno solo veneto e lombardia, ma purtroppo tutta l'italia. Basti pensare alla provincia di roma che, per poche ore di pioggia, s'è ritrovata allagata per mancanza di manutenzione basilare agli impianti fognari. Queste situazioni vanno dal nord al sud purtroppo. Ricorda Andrea, mai rimanere in silenzio.

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    1. Nel silenzio mai. Ma a volte, credo, l'opinione pubblica a livello locale si attiva solo per le emergenze, poi torna a tacere. Manca il senso profondo della politica, i partiti sono - ahimé - morti e così non si capisce nemmeno più come, concretamente, dare seguito e dare valore alle proprie istanze.

      Certamente la politica - o certa politica - è o è stata cieca. Ma la speranza non deve mai morire.

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    3. Si, peccato che qui, in Emilia Romagna, ci stia affondando sotto il Po il partito che Andrea difende tanto. Noi abbiamo avuto solo fortuna che non sia ancora successo ma, il rischio è identico. Cave e scavi a ridosso degli argini, nessuna prevenzione idrica. La gestione è in mano a cooperative gestite da ex sindaci o bruciati del PD.... quindi la politica è stata ceca, non certa ;)

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