sabato 5 luglio 2014

Oh the humanity



Pomodori modificati geneticamente perché siano più nutrienti, mais reso in laboratorio immune a determinati parassiti, tecnologie che, se sviluppate e controllate, potrebbero - alla lunga - cancellare per sempre le criticità alimentari. Crociate, panico, divieti.

Caccia alla balena, estinzioni di massa, disastri nelle foreste equatoriali. Indignazione - giustissima. Battaglie - condivisibilissime. Campagne - da sostenere.

Bambini costruiti in provetta, ragazze povere costrette dalla miseria a portare in pancia prodotti biologici e non figli, la vita nascente oggetto da comprare e vendere. A nessuno sembra interessare. Anzi. "La foto che commuove il web", ci bombardano i social media.

Penso invece che ci dovrebbe commuovere il fatto che un'umanità è diventata merce di altra umanità. L'Homo Faber Fortunae Suae è diventato Homo Faber Hominis, o meglio ancora Homo Faber Homunculorum.

Non è tanto la cultura cristiana a venir messa in discussione da questa possibile svolta drammatica (drammatica, ma pur sempre svolta) della storia dell'uomo. Perché la cultura e la civiltà cristiana vedono nell'uomo un figlio di Dio in ogni circostanza e in ogni caso. Ma è paradossalmente la cultura illuminista, quella sorta nei fieri vagiti della rivoluzione francese. "Gli uomini nascono e restano liberi ed uguali nei diritti", diceva la dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino. "Tutti gli uomini sono nati liberi e uguali, in dignità e diritti, e, essendo dotati dalla natura di ragione e coscienza, devono comportarsi reciprocamente come fratelli", recita invece la dichiarazione americana degli stessi anni.

Nella procreazione generativa c'è libertà. Da essa nasce un altro individuo libero.

Nell'adozione c'è la scelta, libera e consapevole, di amare. Una scelta generativa.

Nella "fabbricazione" di bambini non c'è libertà. Ci sono dei clienti (coppie eterosessuali, coppie omosessuali, singoli, gruppi), ci sono dei fornitori di servizi (le cliniche private), ci sono delle prestatrici d'opera (le madri surrogate, che siano singole ragazze sole dei paesi civilizzati o donne tenute a "batteria" in pulitissime cliniche thailandesi o indonesiane). E ci sono dei prodotti.

Come può essere "libero e uguale" un tavolo rispetto al falegname che l'ha assemblato? O peggio ancora, come può essere "nato uguale nei diritti" un tavolo nei confronti di chi l'ha ordinato su misura, l'ha pagato, l'ha comprato, lo ha portato a casa?

Può una madre essere ridotta a "banco di lavoro"?

Di fronte allo sguardo perso della madre surrogata della foto che gira in questi giorni svaniscono, bruciate tra le fiamme del nulla, cento anni di battaglie per la tutela della dignità e dei diritti delle donne. Il femminismo è morto. Quarant'anni fa si gridava "l'utero è mio". Ora si sussurra "ti vendo l'utero". Domani cosa si dirà, in quest'economia in cui le donne guadagnano ancora la metà degli uomini, pur lavorando di più e meglio? Cosa si affermerà in questa società dove le donne per sopravvivere sono costrette ad assumere i lati peggiori del comportamento maschile? Non bastano le quote rosa: ci vuole una società rosa, dove i valori femminili della custodia, della generatività, della tenerezza e della forza si impongano come virtù universali.

Anche dietro a parti naturali e adozioni si possono nascondere storie tragiche, dove amore e libertà non esistono (stupri, abusi, violenze). Ma questo non può nascondere che dietro il - sottile - velo di modernità, di sentimenti artificiosi da copertina, di immagini ad effetto si nascondono le macerie di un'umanità che ormai si è convinta di essere anch'essa una casualità del cosmo, un prodotto come tanti, da archiviare nella dispensa dell'universo tra i cavolfiori e le lumache.