mercoledì 23 ottobre 2013

Le mirabolanti avventure di una simpatica impicciona ottocentesca tra saloon, prostituzione e superiorità morale.


Odio e amo. Per quale motivo io lo faccia, forse ti chiederai.
Non lo so, ma sento che accade, e mi tormento.

Catullo


"La Signora del West" non è altro che l'orrenda traduzione italiana del telefilm "Dr. Quinn - Medicine Woman", trasmesso ininterrottamente da Rai 1 per decenni in alternanza alla simpatica calamità naturale ambulante di Jessica Fletcher prima che all'ombra del Cavallo di Viale Mazzini qualcuno si accorgesse che una popolana alle prese con i fornelli e con l'avanzare degli anni in effetti non era poi un'idea così malvagia.

Anche dopo vent'anni il dottor Quinn continua a giudicarti e guardarti con disprezzo.

"La Signora del West", ora di nuovo in replica il pomeriggio su Rai 3 prima dei documentari sui voli dei cormorani di Geo & Geo, racconta le vicende di Michaela Queen, dottoressa di Boston che nel 1867 diventa un'improbabile eroina del Far West dopo il suo trasferimento, da parte della mutua, a Colorado Springs, villaggio che sorge nel mezzo del deserto dove vive un intero campionario di comparse degli Spaghetti Western e della zona nord di Gardaland.

Come Catullo, "La Signora del West" o lo odi o lo ami. Oppure, più raramente, come nel mio caso, lo odi e lo ami insieme.

Il punto più alto della serie. Il crossover con Fran Drescher - Tata Francesca.

Lo ami perché è tecnicamente perfetto. Siamo sì lontani dai serial della fine del decennio 2000, dai ritmi di 24 alle atmosfere di Lost. Ed è sì un prodotto per famiglie - anzi, e lo diremo più tardi - del peggior tipo di famiglie, quelle americane. Ma è fatto dannatamente bene. Alterna a una fotografia di tutto rispetto una scenografia curata nei minimi dettagli. Non siamo in teatri di posa, non si respira l'atmosfera di cartongesso tipica dei prodotti TV di quegli anni. Colorando Springs è vera e viva, ti appare con tutti i crismi della realtà.

Orson Bean, un mostro sacro in America. Ne "La Signora del West" era Loren,il burbero proprietario dell'emporio. La vera voce della ragione di Colorado Springs.

Puoi camminare tra le sue strade polverose e piene di escrementi di cavalli e riconoscere i volti uno per uno. Sebbene siano stereotipati come l'inglese e il francese delle barzellette, i personaggi di supporto sono ben definiti e rappresentati da attori di tutto talento. Dal sindaco-barbiere alcolizzato al proprietario dell'emporio finto-burbero, dall'ilare gestore del saloon-bordello al reverendo copia sputata del Jeremy Irons di "Mission", "La Signora del West" è forse l'unico esempio degli anni '90, assieme alla Springfield simpsoniana, di città televisiva dove perdersi, fare quattro chiacchiere al bar, sentire pettegolezzi e appassionarsi degli intrecci. Le sei stagioni del telefilm sono poi un tuffo nella storia americana senza precedenti: la questione indiana, l'arrivo della ferrovia, il ruolo della donna, armi e pena di morte. C'è tutto. Persino la trasferta di rito a Washington dove lo spettatore anche meno acculturato si ritrova a stringere la mano a Ulysses Grant.

Il telegrafista, Horace. In italiano, Orazio. Uguale in tutto e per tutto
ad Orazio, il cavallo antropomorfo amico di Topolino. E come Orazio
ha sposato una vacca, Clarabella, anche Orazio sposa una prostituta
del Saloon di Hank. Nelle ultime serie cade in una seria depressione, ma
a quel punto di lui non gliene fregava più niente a nessuno.

Come la si ama, trovo impossibile anche non odiare "La Signora del West". Farsi venire un chilo di bile nera e scagliare il telecomando pronunciando in pochi millesimi di secondo parole da scomunica diretta.

Perché "La Signora del West", in quegli anni a cavallo della metà degli anni '90, è spiccatamente un prodotto di propaganda. E della propaganda più becera. Mi spiego meglio.

Dopo vent'anni è rimasta uguale. Quando morirà non la cremeranno, la ricicleranno. Assieme
a duecento tappi di plastica ci realizzeranno una sedia a rotelle da donare ai disabili africani.

Michaela Queen, infatti, è il simbolo di donna emancipata dell'East Side (viene infatti da Boston) che si avventura a suo rischio e pericolo nel più profondo e selvaggio West. Simbolo estremo dell'ideologia liberal di stampo clintoniano, si è rivestita di una missione educatrice e civilizzatrice nei confronti dei suoi nuovi compaesani, e dunque, di riflesso, alla casalinga di Wichita e al contadino di Tyler che la seguono, settimana dopo settimana, in TV. Michaela Queen (Jane Seymour) è una fondamentalista: parte in quarta e non la ferma più nessuno. Certo, le sue cause sono riconosciute universalmente come buone, al giorno d'oggi: è lei che libera alcune prostitute di Hank, è lei che lotta contro il Ku Klux Klan che vuole impiccare il maniscalco di colore, è lei che lotta per i diritti degli immigrati svedesi ed è sempre lei che cerca di nobilitare in quel paese di cercatori d'oro, ladri di bestiame, prostitute e avventurieri il ruolo della donna.

Lei, lei, lei. Sempre lei.

Lei che ha il suo boytoy d'ordinanza, il succube mezzoselvaggio Sally (interpretato da un taciturno Joe Lando) che pare uscito dalla copertina di un romanzo erotico per donne. Lei che plasma a sua immagine e somiglianza i figli adottivi - a partire da Brian, il piccolo biondino, l'emblema del bravo bimbo americano, che ho sempre chiamato come "Il Merdina". Inutile come una lapide a Pasqua.

Il Merdina in tutta la sua gloria. Dopo aver fatto i compiti, è pronto per la merendina. Poi aiuterà
le vecchiette ad attraversare la strada. L'anti-Bart Simpson per antonomasia.

Michaela Queen è un'apostola solitaria. E' l'Oprah Wimphrey dei cowboy.

E non puoi non sognare che uno dei tanti banditi da spaghetti western alla Mario Brega la rapisca, la leghi, la carichi sul cavallo e la posi delicatamente sulle rotaie del treno a vapore pochi minuti prima del passaggio del diretto Denver-Colorado Springs.

Perché Michaela Queen è l'apoteosi della rompicoglioni. Non per le idee che ha, ma per come le propone. In lei non c'è dialogo, ma la spocchia tipica di una cultura liberal che riemerge spavaldo dopo dodici anni di cultura Raeganiana dominante, che si reca dai redneck per offrire loro, come un dono dal cielo, l'unica verità possibile. La sua. Michaela Queen è la personificazione della spocchia e di un senso di superiorità che contribuirono non poco a far sprofondare il paese nel dominio dei Bush.

Impossibile, dunque, nel paesino del Far West dominato dalla dittatura dell'illuminata spaccamaroni, non fare il tifo per i retrogradi, ma intellettualmente onesti, ladri di bestiame.


L'allegra famigliola al completo. Finché tifo non vi separi.

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