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Gli occhiali di Dio |
Volgeva al termine il convegno internazionale
dell’occhialeria.
Per cinque giorni
mega-industriali del settore, stilisti, medici, inventori e rappresentanti sindacali
avevano ascoltato le prolusioni dei massimi esperti mondiali nel campo dell’occhiale.
Il mercato delle lenti a contatto, concorrente per tutti indigesto, per la
soddisfazione generale sembrava essere entrato in una crisi davvero irreversibile,
mentre le montature alla moda prodotte in particolar modo in Italia riscuotevano
un successo senza precedenti. La nota stonata era che era impossibile, in
quella fase, alzare i prezzi per aumentare i ricavi: i clienti non l’avrebbero
accettato.
Ogni anno il convegno veniva
ospitato presso la sede di una diversa multinazionale, in una sorta di accordo
a rotazione che faceva tutti contenenti. Quell’anno toccava alla mega
produttrice di occhiali che ha sede nelle valli delle Dolomiti bellunesi. Ma se
così tanta gente, da tutto il mondo, aveva deciso si abbarbicarsi a millecento
metri d’altezza per sopportare ore e ore di rapporti, slides e presentazioni,
lo aveva fatto per un motivo semplice: le conclusioni del convegno sarebbero
state tratte da uno dei più grandi maestri della storia della produzione degli
occhiali.
Di lui si sapeva poco: aveva
sicuramente più di 80 anni, forse quasi 90, ed era ormai quasi completamente
cieco. Dopo una vita tra le università di tutto il mondo per insegnare e
studiare i segreti dell’ottica, si era ritirato in una baita isolata al centro
di un’ampia valle, dove, forse per sincera passione, forse per non rassegnarsi
a morire, con i suoi pochi vecchi strumenti, continuava a costruire montature
per occhiali. Le più belle al mondo. La multinazionale, che le acquistava a
caro prezzo, le riservava solo a multimilionari, teste coronate e piloti di Formula
1.
«L’occhio umano è un vero miracolo.
Per molti è la dimostrazione del “disegno intelligente” nell’evoluzione, una
chiara impronta di Dio nella creazione perché ci accorgessimo di Lui. È vero,
secondo voi?». Iniziò, curvo su sé stesso, quasi sputando sul microfono del
lussuosissimo centro congressi. Era ovviamente una domanda retorica. Tutti
annuirono. Qualcuno arrivò ad applaudire sbracciandosi facendo tintinnare il
suo rolex.
«Sbagliato!», li sgridò con
forza. «Il nostro occhio è un’autentica schifezza, capace di filtrare solo un
briciolo, un infinitesimo della realtà che ci circonda. Lo spettro che vediamo
comprende onde luminose che vanno dai 390 ai 700 nanometri. Se consideriamo
tutte le frequenze, le onde, e i fenomeni che avvengono in natura, quello che i
nostri poveri e ciechi oggi riescono a scorgere non è che una pagina, un
indice, di un’opera infinita».
La platea era impietrita. Solo il
mega-patron della multinazionale, in prima fila, gongolava tra sé e sé.
«La nostra vocazione – continuò il
vecchio, sempre chino su sé stesso, guardando il tavolino di plexiglass che
aveva sotto di sé – è quella di ridare la vista a chi non vede. Mi dispiace
signori, ma dopo settant’anni di questo mestiere ho capito che noi non siamo
all’altezza di questo compito». La sua voce tradiva l’amarezza di una vita.
«Possiamo solo restituire le
poche diottrie che malattie, piccole malformazioni o la semplice vecchiaia
tolgono alle persone. Il fatto è che se parliamo di vista, tutti noi siamo
pressoché ciechi. Non potremo mai far vedere ai nostri clienti la realtà che li
circonda com’è davvero. Perché la osservino, per una volta, con la chiarezza
con cui la vede il Creatore».
Si pulì gli occhiali spessi a
collo di bottiglia, si soffiò il naso, e riprese a parlare.
«Mi domando spesso quante
diottrie abbia il Creatore. Se ci limitiamo al mondo fisico potrei azzardare
qualche decina di milioni, soprattutto se confrontate con le nostre misere
dieci. Ma se ci espandiamo al mondo spirituale, direi che le sue diottrie
possano rientrare nell’ordine di qualche centinaia di miliardi».
In fondo alla sala congressi un
giovane oculista norvegese, che ascoltava con un paio di cuffie la traduzione
simultanea, osò ridere rumorosamente, ma fu fulminato dagli sguardi di chi lo
circondava.
«Ebbene… Il Creatore ha una
visione della realtà totalmente diversa dalla nostra. Vi ricordate il mito
della Caverna di Platone? Qualcosa del genere. Però noi non siamo delle ombre
di idee eterne, assolute e immutabili».
«Siamo noi quelle idee eterne,
assolute e immutabili». E sbatté la sua mano rugosa con forza sul plexiglass,
tanto che qualcuno pensò si fosse scheggiato. «Se solo vedessimo la realtà con
gli occhi del Creatore… Se solo potessimo vederci con gli occhi del Creatore…».
Sbuffò.
Rimase in silenzio qualche
istante, poi riprese: «Fortunatamente, non siamo sempre limitati dalle nostre
misere diottrie. Altrimenti saremmo come gli animali, o le piante. No, no. Il
Creatore ogni tanto ci fa trovare sul naso, quasi per magia – o per miracolo –
degli occhiali di sua fabbricazione. Sì, sì, sento in fondo voi là che ridete… Ma
avete avuto anche voi, sicuramente, in alcuni momenti della vostra vita, la
prova di quello che vi sto dicendo».
«A volte ci vuole un po’ perché
questi occhiali – come quelli che produciamo noi – ingranino davvero. Perché
mettano a fuoco l’oggetto. Con questi occhiali speciali, il cui brevetto è
tenuto segreto dal Creatore, sarete in grado di vedere una piccola parte di
realtà – una passione, un’idea, un paesaggio o una persona – per quello che è
davvero. Solo che questa passione, quest’idea, questo paesaggio o questa
persona non la scegliete voi. Il Creatore ha calibrato questi occhiali perché
filtrino solo una piccolissima parte della realtà, perché se no la nostra testa
esploderebbe. E li ha dotati di un potenziale di ingrandimento minimo, perché altrimenti
sarebbe il nostro cuore ad esplodere».
«Quando qualcosa conquista
completamente la vostra attenzione, quando un ideale vi spinge a compiere
azioni e imprese che non avreste mai immaginato, quando vedete negli occhi di
un’altra persona un oceano di bellezza… non sono illusioni. È così che sono
realmente».
Tossì più volte, si schiarì la
voce, mentre tra il pubblico era piombato un silenzio maestoso.
«Non sempre le passioni danno
frutti positivi. Non sempre gli ideali fanno conseguire glorie e trionfi. E non
sempre i grandi amori vengono ricambiati… Tanti giovani ottici mi hanno
domandato se non sia meglio togliersi quegli occhiali, che il Creatore a volte
ci mette con forza se non addirittura con violenza. Perché – lo so bene io che
vedo il sole sorgere ogni mattina – troppa luce fa male. Troppa luce può
accecarci…».
«Sì. È possibile», continuò, «possiamo,
anche se a fatica, toglierci questi occhiali speciali. Ma ne vale davvero la
pena?».
Si alzò, sorridendo per la prima
volta da quando aveva iniziato a parlare: «Il mio consiglio è semplice. Mai,
mai avere paura della luce. Anche quando fa male. Anche quando vi acceca. Fuggite
il buio. Anche quando vi consola. Anche quando sarete tentati di nascondervi in
esso».
E prima di tornarsene nella sua
baita, si lascio sfuggire: «Dicono che un falegname con milioni di miliardi di
diottrie, qualche anno fa, vide così chiaramente il mondo che si decise a salvarlo…».